T. Scassa, A Human Rights-Based Approach to Data Protection in Canada (June 5, 2020). in Dubois, E. and Martin-Bariteau, F. (eds.), Citizenship in a Connected Canada: A Research and Policy Agenda, Ottawa, ON: University of Ottawa Press (2020), Ottawa Faculty of Law Working Paper No. 2020-26,
La direttiva (UE) 2019/790, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (detta anche direttiva copyright o, in inglese, CDSM directive) è un testo normativo elefantiaco, intricato e divisivo. Di più, come rilevato a più riprese da schiere di accademici esperti della materia della proprietà intellettuale (v. qui), esso è malamente concepito. Facile prevedere che la sua attuazione negli Stati membri dell’UE, oltre a fallire nei dichiarati intenti di armonizzazione e di riduzione del potere delle grandi piattaforme Internet, diventerà un formidabile generatore di (un enorme) contenzioso giudiziario a livello nazionale e unionale.
La direttiva interviene su molteplici e rilevanti aspetti del diritto d’autore. Tra questi si possono qui ricordare:
a) eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi nell’ambiente digitale e nel contesto transfrontaliero nonché per finalità di conservazione del patrimonio culturale (art. 3-7);
b) riproducibilità delle opere d’arte di pubblico dominio (art. 14);
c) diritto connesso dell’editore su pubblicazioni di carattere giornalistico (art. 15);
d) responsabilità dei prestatori di servizi online (ad es. YouTube) che memorizzano contenuti caricati dagli utenti (art. 17).
L’art. 17 della direttiva è stato poi impugnato dalla Polonia davanti alla Corte di Giustizia, che ancora deve pronunciarsi sulla sua legittimità (l’Avvocato Generale si è già espresso per il rigetto del ricorso polacco).
Molti Stati membri dell’Unione Europea sono in ritardo rispetto al termine di attuazione della direttiva scaduto il 7 giugno 2021 (v. qui).
L’Italia è tra questi (v. qui). Dopo l’approvazione della legge di delegazione europea 2019-2020 (legge 22 aprile 2021, n. 53), la procedura di attuazione è passata nelle mani del Governo.
Il Ministero della Cultura (MIC) ha elaborato una prima bozza di schema di decreto legislativo che ha sottoposto al parere del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore. Né la bozza originale, né il parere del comitato sono stati resi pubblici.
Il 15 e 16 luglio 2021 il MIC ha svolto audizioni informali sullo schema di decreto legislativo, convocando via email solo alcuni selezionati stakeholder. Altri portatori di interesse, che erano stati ascoltati in Parlamento durante i lavori sulla legge di delegazione europea, non sono stati convocati (ad esempio, Creative Commons – Capitolo italiano, Wikimedia Italia, Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta: v. qui, qui e qui). Eppure l’elenco dei soggetti ascoltati in Parlamento e la relativa documentazione audio e video erano pubblicamente accessibili dai siti web parlamentari. Di questa oscura e distorta procedura il pubblico è venuto a conoscenza solo grazie al post sul proprio sito web da parte di Audicoop della lettera di convocazione del MIC.
Il testo dello schema di decreto legislativo è stato trasmesso i primi giorni di agosto alle Camere per i pareri delle commissioni competenti. La discussione nelle commissioni è in corso (v. qui e qui).
Un membro del comitato consultivo del MIC ha dichiarato alla stampa che il testo trasmesso alle Camere è completamente diverso da quello sottoposto al parere del comitato consultivo.
La consultazione pubblica dei portatori di interesse è un aspetto delle procedure legislative che risponde a principi e regole della democrazia partecipativa sempre più formalizzate. Ad esempio, la Commissione dell’UE ha recentemente rivisto le proprie linee guida di “better regulation”. Un intero capitolo è dedicato alla “Stakeholder consultation“. Sebbene la formalizzazione di queste procedure non sia esente da critiche, è innegabile che essa muova nella giusta direzione: porre principi e regole che valgono per tutti e rendono il processo di normazione inclusivo, trasparente e controllabile, anche a futura memoria.
Le consultazioni pubbliche possono essere ridotte a un rito formale volto ad ammantare decisioni già prese dal velo della disponibilità ad ascoltare, oppure possono essere l’occasione per rendere più equilibrati e migliori i testi normativi. In ogni caso, il legislatore – soprattutto quando si tratta del governo – dovrebbe prendere molto sul serio le modalità con cui consultare pubblicamente i portatori di interesse.
In questa prospettiva, non vi è dubbio che il modello di consultazione pubblica normalmente in uso risponde a una procedura che inizia con un annuncio pubblico sul sito web istituzionale rivolto a tutti gli interessati ad esprimersi stabilendo un congruo termine massimo per la presentazione delle osservazioni. Le posizioni degli interessati vengono poi rese pubbliche sullo stesso sito web istituzionale. Dopo la scadenza del termine l’organo di normazione pubblica il documento in cui risponde alle osservazioni ricevute e un documento normativo definitivo. Di tutta la procedura resta traccia in modo che il pubblico possa maturare una propria opinione sul se e sul come il legislatore ha operato una sintesi degli interessi particolari guardando all’interesse generale.
Questo tipo di consultazione pubblica è quanto mai opportuno quando il legislatore mette mano a interventi normativi importanti finalizzati a incidere profondamente e a lungo sull’ordinamento. Per fare un esempio recente e attinente alla materia della proprietà intellettuale, allo scopo di iniziare il processo di revisione del codice della proprietà industriale il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato un documento provvisorio con le linee strategiche di riforma, ha chiamato con un annuncio pubblico i portatori di interesse a esprimersi in un determinato tempo, ha caricato sul sito web istituzionale le osservazioni ricevute e sullo stesso sito ha pubblicato le linee strategiche definitive.
È davvero sorprendente che il MIC non abbia pensato a una procedura simile per un intervento importante sul diritto d’autore come quello indotto dalla direttiva copyright e abbia invece scelto di convocare con comunicazione privata solo alcuni portatori di interesse.
Al di là dei contenuti normativi dello schema di decreto legislativo che recano le stimmate di una (verbosa) direttiva e di una (laconica) legge delega, entrambe sbilanciate a favore degli interessi commerciali legati alla proprietà intellettuale, il modo con cui si è proceduto a elaborare le nuove disposizioni legislative condanna la c.d. modernizzazione del diritto d’autore a un’intrinseca debolezza.
Osservazioni di AISA sullo schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale per l’uso della Commissione XIV del Senato della Repubblica. Il documento inviato al Senato è visibile qui.
Il testo del documento è riprodotto qui di seguito.
“Spett.le Segreteria 14a Commissione permanente – Politiche dell’Unione europea Senato della Repubblica
Trento, 15 settembre 2021
Oggetto: Schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 295 – XVIII Legislatura.
Con riferimento al documento in oggetto, l’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA), che aveva partecipato alle audizioni informali presso la XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) del Senato della Repubblica Italiana sul disegno di legge n. 1721 (Legge di delegazione europea 2019), intende proporre alcuni rilievi critici.
È forse superfluo ricordare che, nelle procedure legislative, la consultazione dei portatori di interesse risponde a regole e prassi volte a principi di pubblicità, trasparenza e inclusione. Questi principi sono stati in questa occasione consapevolmente calpestati dal legislatore. La direttiva 2019/790 è un testo normativo che ha diviso il Parlamento europeo, suscitato una valanga di critiche da parte degli accademici esperti della materia e alimentato un vasto movimento di opinione fortemente contrario alla sua approvazione. Le modalità anomale e opache con le quali si sta procedendo alla sua attuazione in Italia renderanno ancor più debole il risultato finale.
b) La mancanza di una visione d’insieme sulla proprietà intellettuale di una società democratica
La direttiva 2019/790 e la sua attuazione in Italia mediante modifica della l. 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore o lda) ripropongono la classica visione unionale che riduce il diritto d’autore a una mera questione di mercato. Invece, il diritto d’autore è un pezzo fondamentale della democrazia. La misura e il modo con cui la comunità scientifica può pubblicare e condividere i risultati della ricerca influiscono sul modo in cui evolve o involve una democrazia. Spazi più ampi di libertà nella pubblicazione e nella condivisione dei risultati della ricerca scientifica si traducono in maggiore libertà accademica e contribuiscono allo sviluppo di un dibattito pubblico e critico sulle dinamiche politiche ed economiche. Viceversa, vincoli più stringenti, come quelli che derivano da diritti di esclusiva – peraltro, sempre più attributi in via originaria e diretta agli intermediari commerciali e non agli autori – restringono i margini di libertà di informazione ed espressione del pensiero.
In buona sostanza, la direttiva 2019/790 guarda al diritto d’autore del mercato unico digitale come una questione tra intermediari commerciali vecchi (gli editori) e nuovi (Big Tech e grandi piattaforme di Internet). I cittadini, gli autori, gli scienziati, gli insegnanti, le università, le scuole, gli istituti di tutela del patrimonio culturale sono collocati ai margini della scena. La loro tutela è affidata a strumenti residuali e macchinosi come le eccezioni e limitazioni ai diritti di esclusiva. Mentre i diritti di esclusiva vengono rafforzati, e la responsabilità per la loro violazione aggravata, il promesso rafforzamento delle eccezioni e limitazioni si traduce in un corpo normativo intricato, confuso, contradditorio e prono agli interessi degli intermediari commerciali.
A ben vedere, la direttiva 2019/790 si colloca con coerenza nell’alveo di un’ampia strategia dell’Unione Europea che, persino in epoca pandemica, ripropone come formula magica l’equazione “più esclusive = più innovazione” (si veda la Comunicazione della Commissione UE COM(2020) 760 final del 25.11.2020 che contiene il Piano d’azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE). Nonostante dati e teoria della proprietà intellettuale smentiscano l’equazione, il legislatore unionale e quello nazionale procedono sicuri verso un progressivo rafforzamento delle esclusive, focalizzandosi solo ad alcuni interessi particolari e smarrendo la visione ampia e lungimirante che guarda agli interessi generali di una società democratica.
Un fugace sguardo all’inizio della storia del diritto d’autore continentale può aiutare a comprendere il punto. I legislatori che approvarono, durante la Rivoluzione francese, la prima legge europea sul diritto d’autore erano infatti ben consapevoli della sua natura politica, cosmopolitica e pubblica prima che commerciale e privata. “Con la stampa” – sosteneva la relazione con la quale Sieyès presentava la sua proposta – “la libertà non è più confinata in repubbliche di piccole dimensioni, ma si espande per regni ed imperi. La stampa è, per l’estensione dello spazio, quello che era la voce dell’oratore nella piazza pubblica di Atene e di Roma”[1] Ma, a quanto pare, i legislatori europei e italiani, pur deliberando su spazi paragonabilmente ampi, non hanno occhi che per piccoli interessi.
A livello italiano, la controprova della focalizzazione sugli interessi degli intermediari commerciali è offerta dalla stasi di una delle poche iniziative legislative che puntava al rafforzamento del diritto dell’autore scientifico. Il riferimento è alla proposta di legge Gallo (DDL 1146 Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica). La proposta, la cui ultima discussione in Parlamento risale al novembre 2019, prevede l’introduzione dell’art. 42-bis nella legge sul diritto d’autore volto a riconoscere all’autore il diritto di ripubblicare la propria opera scientifica in accesso aperto.
c) Conclusioni
Alla luce del poco tempo messo a disposizione non è possibile formulare osservazioni di dettaglio sulle singole disposizioni normative dello schema di decreto legislativo.
L’AISA chiede espressamente alla Segreteria della 14a Commissione permanente di rendere pubblico questo documento sul sito web del Senato della Repubblica.
Cordialmente,
Prof. Roberto Caso
Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta
[1] Sieyès, Emmanuel Joseph (1790) Rapport de M. l’abbé Sieyès sur la liberté de la presse, et projet de loi contre les délits qui peuvent se commettre par la voie de l’impression, et par la publication des écrits et des gravures, http://www.copyrighthistory.org/cam/tools/request/showRecord?id=record_f_1790″
Pubblicato (anche in Open Access) il libro di Paolo Guarda su “Il regime giuridico dei dati della ricerca scientifica”. Nel libro si parla anche di Open Science e Open Access