Roberto Caso, 24 settembre 2023, pubblicato su L’Adige del 26 settembre 2023 con il titolo “Il ruolo della ricerca libera dal profitto“
La professoressa e senatrice a vita Elena Cattaneo ha tenuto a Trento il 18 settembre scorso presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo tridentino un’interessante lezione sulla libertà di ricerca. Ho avuto l’opportunità di assistere personalmente alla lezione.
Il discorso era rivolto soprattutto ai giovani che aspirano a coltivare la ricerca scientifica. Il messaggio di fondo può essere sintetizzato nella seguente esortazione [le parole scelte sono mie]: “osate, battete strade inesplorate e resistete alle forze che cercano di comprimere la vostra libertà”.
Elena Cattaneo ha portato molti esempi di persone che hanno abbracciato il coraggio della ricerca. Giustamente, nella carrellata di queste figure, sono state privilegiate le donne. Tali ricercatrici, infatti, hanno dovuto aggiungere una dose di coraggio supplementare – sfidare la società maschilista – a quello fondamentale che alimenta la libertà scientifica.
La senatrice è partita da Rita Levi-Montalcini per giungere alle proprie battaglie sulla legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, sul caso “Stamina” e sull’istituzione dello Human Technopole. Sono battaglie, quelle della senatrice Cattaneo, che riguardano, da diverse prospettive, la difesa della libertà di ricerca nei confronti dello Stato. In estrema e approssimativa sintesi, lo Stato: non deve arbitrariamente restringere l’uso di cellule di embrioni umani (sovrannumerati e congelati, destinati alla distruzione) a fini di ricerca, deve intervenire attivamente contro la pseudo-scienza e quando istituisce enti finanziati con ingenti finanziamenti pubblici (distolti da altri usi e destinatari) deve garantire che siano governati da strutture, procedure e regole che evitino il malaffare.
Nella rassegna delle donne che hanno speso la vita per la ricerca scientifica Elena Cattaneo ha citato Katalin Karikó. Confesso che prima della lezione della senatrice non l’avevo sentita nominare. Ho appreso che è una biochimica ungherese esperta nello studio dell’mRNA a scopo terapeutico. Soprattutto è una delle figure chiave di BionTech, l’azienda farmaceutica tedesca che ha sviluppato insieme a Pfizer, la big pharma statunitense, il Comirnaty, uno dei vaccini anti-COVID-19 a base mRNA più diffusi in Occidente.
Devo confessare che l’esempio mi ha sorpreso. Non solo perché veniva poco dopo quello di Levi Montalcini, ma perché riguarda una ricercatrice che ha scelto di lavorare per un’azienda che difende con la proprietà intellettuale – brevetto, segreto commerciale – una scoperta scientifica di importanza fondamentale per tutta l’umanità e non solo per l’Occidente. Su quella proprietà intellettuale è stato generato un profitto miliardario. Ma la decisione che il vaccino BionTech/Pfizer abbia un prezzo, comporta che una parte dell’umanità ne sia fatalmente esclusa. Insomma, è giusto dare un prezzo monopolistico a un bene essenziale per salvare la vita delle persone? La domanda non è oziosa e se la sono posta in molti. Ma c’è un altro quesito che va formulato. È giusto difendere con proprietà intellettuale un’invenzione che si fonda sulla ricerca di base finanziata con fondi pubblici? La tecnologia mRNA è stata sviluppata grazie a ricerche svolte in istituti pubblici e università. Il contributo dato dall’impresa commerciale deve tradursi nella concessione di un monopolio legale (la proprietà intellettuale) che dà il pieno e totale controllo sull’uso dell’invenzione?
Esistono figure diverse da Katalin Karikó che potevano essere citate. Sono figure che interpretano la libertà di ricerca anche come difesa dalle ragioni del profitto. Ad esempio, Maria Elena Bottazzi, la ricercatrice di origini italiane, che ha scelto di non brevettare il Corbevax, vaccino anti-COVID-19 sviluppato assieme a Peter Hotez. Per questa scelta è stata candidata al premio Nobel per la pace.
Che la questione della libertà di ricerca dai condizionamenti del profitto sia di assoluta rilevanza in campo farmacologico è testimoniato dalla politica anti-brevettuale dell’Istituto Mario Negri, una delle più prestigiose istituzioni scientifiche italiane. “Da oltre 50 anni l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, in controtendenza con l’idea dominante, non richiede brevetti sulle proprie ricerche. Non perché siamo contrari in linea teorica ai brevetti in campo medico […]. Lo facciamo soprattutto per essere liberi. Liberi nell’orientamento e nella selezione dei temi di ricerca. Se invece l’obiettivo fosse il brevetto e il suo sfruttamento, sarebbe inevitabile orientarsi verso ricerche economicamente sfruttabili”. Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Negri, è tornato di recente sul tema in un libro-intervista edito da Il Mulino (Brevettare la salute? Una medicina senza mercato, 2022).
Il bel messaggio lanciato dalla senatrice Cattaneo – osate e battete strade inesplorate! – non vale solo per la biologia ma anche per le scienze umane e sociali. Vale per il diritto – come la proprietà intellettuale – che governa i rapporti tra scienza e profitto. Forse la strada battuta fino ad adesso e persino durante la pandemia non è l’unica e nemmeno la più giusta. Occorre urgentemente e con coraggio esplorarne altre.