M.J. Madison, Beyond Creativity: Copyright as Knowledge Law (April 30, 2010). Vanderbilt Journal of Entertainment and Technology Law, Vol. 12, p. 817, 2010, University of Pittsburgh Legal Studies Research Paper No. 2010-15, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=1599621
R. Caso, Il metodo casistico-problematico, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Gli argomenti interpretativi, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Come si cerca l’informazione giuridica, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
Università di Trento – Facoltà di Giurisprudenza – Open Access
R. Caso, Come si affronta un esame scritto, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Diritto e tecnologia, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
L. 20 giugno 1978, n. 399, Ratifica ed esecuzione della convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, firmata il 9 settembre 1886, completata a Parigi il 4 maggio 1896, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908, completata a Berna il 20 marzo 1914, riveduta a Roma il 2 giugno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Parigi il 24 luglio 1971, con allegato. (GU n.214 del 02-08-1978 – Suppl. Ordinario), art. 10
Preparatory questions What types of works do you encounter in your walk from home to the university in Trento? Are these works protected by copyright? Would you infringe any intellectual property rights by taking a photograph of one of these works?
Lezione 14 – Il plagio-contraffazione: i fondamenti
Slide: Lezione 14
Letture:
R. Caso, Plagio, diritto d’autore e rivoluzioni tecnologiche, in R. Caso (a cura di), Plagio e creatività: un dialogo tra diritto e altri saperi. Atti dei Seminari tenuti il 21 e il 28 aprile 2010 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, Università degli Studi di Trento, Trento 2011 5
Abstract. Oggi il carattere democratico della scienza è minacciato dalla valutazione autoritaria nonché dalla privatizzazione della conoscenza. Non è solo una minaccia per l’università ma per la tenuta stessa della democrazia. Due esempi (pubblicazioni scientifiche e brevetti universitari in ambito biomedico) possono forse rendere l’idea di cosa significhi valutazione autoritaria e privatizzazione della conoscenza nell’università italiana.
LEZIONE 7. IL RIGHT TO PRIVACY IN CANADA – SEMINARIO
Lezione 7:
Letture:
T. Scassa, A Human Rights-Based Approach to Data Protection in Canada (June 5, 2020). in Dubois, E. and Martin-Bariteau, F. (eds.), Citizenship in a Connected Canada: A Research and Policy Agenda, Ottawa, ON: University of Ottawa Press (2020), Ottawa Faculty of Law Working Paper No. 2020-26,
LEZIONE 8. LA DISCIPLINA IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: IL GDPR – 2
WP29, Linee guida in materia di valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e determinazione della possibilità che il trattamento “possa presentare un rischio elevato” ai fini del regolamento (UE) 2016/679, adottate il 4 aprile 2017 come modificate e adottate da ultimo il 4 ottobre 2017 (https://ec.europa.eu/newsroom/article29/items/611236)
L. 19 aprile 1925, n. 475, repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche
G. Resta, in G. Alpa e G. Resta, Le persone e la famiglia 1. Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Utet, Torino, 2019, pp. 486-508
L. 19 aprile 1925, n. 475, repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche
L’autore di un testo scientifico generalmente non guadagna dalla riproduzione e commercializzazione delle copie delle sue pagine. In particolare, l’autore di un articolo destinato a una rivista scientifica non ha interesse a ricevere un compenso economico, ma a veder diffuso, letto e criticato il suo contributo scientifico.
Nell’attuale sistema di valutazione della scienza scienza si ricorre al conteggio più o meno sofisticato delle citazioni ricevute dal contributo scientifico o dalla rivista dove è pubblicato al fine di redigere classifiche che influenzano lo sviluppo (o il declino) di università e dipartimenti nonché determinano la carriera degli scienziati. Questo perverso sistema induce una serie di distorsioni dell’autorialità scientifica. Tra queste distorsioni figura anche la pressione ad accettare contratti-capestro in cui l’editore impone al ricercatore la cessione gratuita dei diritti economici d’autore a fronte della pubblicazione. Una volta ceduti i diritti economici, è l’editore e non l’autore a decidere quale circolazione possa avere il testo.
L’editore inserisce il contributo in grandi banche dati digitali che vengono commercializzate a carissimo (e crescente) prezzo mediante licenze d’uso che attribuiscono non la proprietà sui contenuti ma semplicemente diritti d’uso. Nell’ambito della ricerca finanziata con fondi pubblici, i contribuenti pagano più volte la ricerca: finanziando lo stipendio, per il lavoro stabile o precario, dell’autore scientifico, del curatore della pubblicazione e del revisore dell’articolo, nonché acquisendo diritti d’uso su contenuti che rimangono nel controllo dell’editore. Inoltre, gli autori dei testi scientifici, che sono i principali fruitori delle banche dati scientifiche proprietarie, cedono gratuitamente i propri dati personali a un apparato commerciale che applica i dettami del capitalismo della sorveglianza all’editoria scientifica. Gli editori sono oggi imprese di analisi dei dati che sorvegliano il comportamento della comunità accademico-scientifica allo scopo di orientarne metodi di lavoro e finalità.
L’art. 42 della legge n. 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore e sui diritti connessi), con riferimento a uno scenario tecnologico, economico e sociale completamente differente da quello contemporaneo, riconosce un limitato di diritto di ripubblicazione all’autore di articoli o di altre opere pubblicate in opere collettive. Ma fuori dai confini dell’Italia alcuni Paesi – Germania, Paesi Bassi, Francia, Belgio, Austria – hanno inserito nella propria legislazione un nuovo e più robusto diritto di ripubblicazione (messa a disposizione del pubblico) in Open Access. In alcune leggi, il diritto assume i tratti dell’irrinunciabilità e dell’inalianebilità. Qualsiasi tentativo da parte dell’editore di aggirare le prerogative dell’autore viene neutralizzato dalla legge.
Il diritto irrinciabile e inalienabile di ripubblicazione in accesso aperto costituisce espressione di autonomia e libertà di pensiero in ambito scientifico. Decidere se, quando e dove pubblicare e ripubblicare il proprio testo scientifico è espressione di libertà accademica. Il diritto di ripubblicazione in Open Access rappresenta una delle premesse giuridiche per restituire il controllo dei testi alla comunità scientifica.
Art. 4, 13, 18, L. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio
Art. 2, Directive 2001/29/EC of the European Parliament and of the Council of 22 May 2001 on the harmonisation of certain aspects of copyright and related rights in the information society
C. Sganga, S. Scalzini, From Abuse of Right to European Copyright Misuse: A New Doctrine for EU Copyright Law (July 31, 2016). International Review of Intellectual Property and Competition Law (IIC), 2017, vol. 48(4), pp.405-435. (link)
EUCJ, Nintendo Co. Ltd v. PCBox srl (Causa C‑355/12) (2014) (link)
Art. 6, Directive 2001/29/EC of the European Parliament and of the Council of 22 May 2001 on the harmonisation of certain aspects of copyright and related rights in the information society
Art. 17, Directive 2019/790 of the European Parliament and of the Council of 17 April 2019 on copyright and related rights in the Digital Single Market and amending Directives 96/9/EC and 2001/29/EC (link)
R. Caso, Il metodo casistico-problematico, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Gli argomenti interpretativi, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Diritto e tecnologia, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
R. Caso, Come si cerca l’informazione giuridica, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
Università di Trento – Facoltà di Giurisprudenza – Open Access
R. Caso, Come si affronta un esame scritto, in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021
L. 20 giugno 1978, n. 399, Ratifica ed esecuzione della convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, firmata il 9 settembre 1886, completata a Parigi il 4 maggio 1896, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908, completata a Berna il 20 marzo 1914, riveduta a Roma il 2 giugno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Parigi il 24 luglio 1971, con allegato. (GU n.214 del 02-08-1978 – Suppl. Ordinario), art. 10
Charles W. Saalburg – The Wasp (San Francisco) Vol. 26, 1891 https://archive.org/stream/waspjanjune1891 “The Assemblyman is perplexed” (immagine tratta da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_di_pressione#/media/File:The_Wasp_1891-03-14_cover.jpg)
La direttiva (UE) 2019/790, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (detta anche direttiva copyright o, in inglese, CDSM directive) è un testo normativo elefantiaco, intricato e divisivo. Di più, come rilevato a più riprese da schiere di accademici esperti della materia della proprietà intellettuale (v. qui), esso è malamente concepito. Facile prevedere che la sua attuazione negli Stati membri dell’UE, oltre a fallire nei dichiarati intenti di armonizzazione e di riduzione del potere delle grandi piattaforme Internet, diventerà un formidabile generatore di (un enorme) contenzioso giudiziario a livello nazionale e unionale.
La direttiva interviene su molteplici e rilevanti aspetti del diritto d’autore. Tra questi si possono qui ricordare:
a) eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi nell’ambiente digitale e nel contesto transfrontaliero nonché per finalità di conservazione del patrimonio culturale (art. 3-7);
b) riproducibilità delle opere d’arte di pubblico dominio (art. 14);
c) diritto connesso dell’editore su pubblicazioni di carattere giornalistico (art. 15);
d) responsabilità dei prestatori di servizi online (ad es. YouTube) che memorizzano contenuti caricati dagli utenti (art. 17).
L’art. 17 della direttiva è stato poi impugnato dalla Polonia davanti alla Corte di Giustizia, che ancora deve pronunciarsi sulla sua legittimità (l’Avvocato Generale si è già espresso per il rigetto del ricorso polacco).
Molti Stati membri dell’Unione Europea sono in ritardo rispetto al termine di attuazione della direttiva scaduto il 7 giugno 2021 (v. qui).
L’Italia è tra questi (v. qui). Dopo l’approvazione della legge di delegazione europea 2019-2020 (legge 22 aprile 2021, n. 53), la procedura di attuazione è passata nelle mani del Governo.
Il Ministero della Cultura (MIC) ha elaborato una prima bozza di schema di decreto legislativo che ha sottoposto al parere del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore. Né la bozza originale, né il parere del comitato sono stati resi pubblici.
Il 15 e 16 luglio 2021 il MIC ha svolto audizioni informali sullo schema di decreto legislativo, convocando via email solo alcuni selezionati stakeholder. Altri portatori di interesse, che erano stati ascoltati in Parlamento durante i lavori sulla legge di delegazione europea, non sono stati convocati (ad esempio, Creative Commons – Capitolo italiano, Wikimedia Italia, Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta: v. qui, qui e qui). Eppure l’elenco dei soggetti ascoltati in Parlamento e la relativa documentazione audio e video erano pubblicamente accessibili dai siti web parlamentari. Di questa oscura e distorta procedura il pubblico è venuto a conoscenza solo grazie al post sul proprio sito web da parte di Audicoop della lettera di convocazione del MIC.
Il testo dello schema di decreto legislativo è stato trasmesso i primi giorni di agosto alle Camere per i pareri delle commissioni competenti. La discussione nelle commissioni è in corso (v. qui e qui).
Un membro del comitato consultivo del MIC ha dichiarato alla stampa che il testo trasmesso alle Camere è completamente diverso da quello sottoposto al parere del comitato consultivo.
La consultazione pubblica dei portatori di interesse è un aspetto delle procedure legislative che risponde a principi e regole della democrazia partecipativa sempre più formalizzate. Ad esempio, la Commissione dell’UE ha recentemente rivisto le proprie linee guida di “better regulation”. Un intero capitolo è dedicato alla “Stakeholder consultation“. Sebbene la formalizzazione di queste procedure non sia esente da critiche, è innegabile che essa muova nella giusta direzione: porre principi e regole che valgono per tutti e rendono il processo di normazione inclusivo, trasparente e controllabile, anche a futura memoria.
Le consultazioni pubbliche possono essere ridotte a un rito formale volto ad ammantare decisioni già prese dal velo della disponibilità ad ascoltare, oppure possono essere l’occasione per rendere più equilibrati e migliori i testi normativi. In ogni caso, il legislatore – soprattutto quando si tratta del governo – dovrebbe prendere molto sul serio le modalità con cui consultare pubblicamente i portatori di interesse.
In questa prospettiva, non vi è dubbio che il modello di consultazione pubblica normalmente in uso risponde a una procedura che inizia con un annuncio pubblico sul sito web istituzionale rivolto a tutti gli interessati ad esprimersi stabilendo un congruo termine massimo per la presentazione delle osservazioni. Le posizioni degli interessati vengono poi rese pubbliche sullo stesso sito web istituzionale. Dopo la scadenza del termine l’organo di normazione pubblica il documento in cui risponde alle osservazioni ricevute e un documento normativo definitivo. Di tutta la procedura resta traccia in modo che il pubblico possa maturare una propria opinione sul se e sul come il legislatore ha operato una sintesi degli interessi particolari guardando all’interesse generale.
Questo tipo di consultazione pubblica è quanto mai opportuno quando il legislatore mette mano a interventi normativi importanti finalizzati a incidere profondamente e a lungo sull’ordinamento. Per fare un esempio recente e attinente alla materia della proprietà intellettuale, allo scopo di iniziare il processo di revisione del codice della proprietà industriale il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato un documento provvisorio con le linee strategiche di riforma, ha chiamato con un annuncio pubblico i portatori di interesse a esprimersi in un determinato tempo, ha caricato sul sito web istituzionale le osservazioni ricevute e sullo stesso sito ha pubblicato le linee strategiche definitive.
È davvero sorprendente che il MIC non abbia pensato a una procedura simile per un intervento importante sul diritto d’autore come quello indotto dalla direttiva copyright e abbia invece scelto di convocare con comunicazione privata solo alcuni portatori di interesse.
Al di là dei contenuti normativi dello schema di decreto legislativo che recano le stimmate di una (verbosa) direttiva e di una (laconica) legge delega, entrambe sbilanciate a favore degli interessi commerciali legati alla proprietà intellettuale, il modo con cui si è proceduto a elaborare le nuove disposizioni legislative condanna la c.d. modernizzazione del diritto d’autore a un’intrinseca debolezza.
Osservazioni di AISA sullo schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale per l’uso della Commissione XIV del Senato della Repubblica. Il documento inviato al Senato è visibile qui.
Il testo del documento è riprodotto qui di seguito.
“Spett.le Segreteria 14a Commissione permanente – Politiche dell’Unione europea Senato della Repubblica
Trento, 15 settembre 2021
Oggetto: Schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 295 – XVIII Legislatura.
Con riferimento al documento in oggetto, l’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA), che aveva partecipato alle audizioni informali presso la XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) del Senato della Repubblica Italiana sul disegno di legge n. 1721 (Legge di delegazione europea 2019), intende proporre alcuni rilievi critici.
È forse superfluo ricordare che, nelle procedure legislative, la consultazione dei portatori di interesse risponde a regole e prassi volte a principi di pubblicità, trasparenza e inclusione. Questi principi sono stati in questa occasione consapevolmente calpestati dal legislatore. La direttiva 2019/790 è un testo normativo che ha diviso il Parlamento europeo, suscitato una valanga di critiche da parte degli accademici esperti della materia e alimentato un vasto movimento di opinione fortemente contrario alla sua approvazione. Le modalità anomale e opache con le quali si sta procedendo alla sua attuazione in Italia renderanno ancor più debole il risultato finale.
b) La mancanza di una visione d’insieme sulla proprietà intellettuale di una società democratica
La direttiva 2019/790 e la sua attuazione in Italia mediante modifica della l. 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore o lda) ripropongono la classica visione unionale che riduce il diritto d’autore a una mera questione di mercato. Invece, il diritto d’autore è un pezzo fondamentale della democrazia. La misura e il modo con cui la comunità scientifica può pubblicare e condividere i risultati della ricerca influiscono sul modo in cui evolve o involve una democrazia. Spazi più ampi di libertà nella pubblicazione e nella condivisione dei risultati della ricerca scientifica si traducono in maggiore libertà accademica e contribuiscono allo sviluppo di un dibattito pubblico e critico sulle dinamiche politiche ed economiche. Viceversa, vincoli più stringenti, come quelli che derivano da diritti di esclusiva – peraltro, sempre più attributi in via originaria e diretta agli intermediari commerciali e non agli autori – restringono i margini di libertà di informazione ed espressione del pensiero.
In buona sostanza, la direttiva 2019/790 guarda al diritto d’autore del mercato unico digitale come una questione tra intermediari commerciali vecchi (gli editori) e nuovi (Big Tech e grandi piattaforme di Internet). I cittadini, gli autori, gli scienziati, gli insegnanti, le università, le scuole, gli istituti di tutela del patrimonio culturale sono collocati ai margini della scena. La loro tutela è affidata a strumenti residuali e macchinosi come le eccezioni e limitazioni ai diritti di esclusiva. Mentre i diritti di esclusiva vengono rafforzati, e la responsabilità per la loro violazione aggravata, il promesso rafforzamento delle eccezioni e limitazioni si traduce in un corpo normativo intricato, confuso, contradditorio e prono agli interessi degli intermediari commerciali.
A ben vedere, la direttiva 2019/790 si colloca con coerenza nell’alveo di un’ampia strategia dell’Unione Europea che, persino in epoca pandemica, ripropone come formula magica l’equazione “più esclusive = più innovazione” (si veda la Comunicazione della Commissione UE COM(2020) 760 final del 25.11.2020 che contiene il Piano d’azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE). Nonostante dati e teoria della proprietà intellettuale smentiscano l’equazione, il legislatore unionale e quello nazionale procedono sicuri verso un progressivo rafforzamento delle esclusive, focalizzandosi solo ad alcuni interessi particolari e smarrendo la visione ampia e lungimirante che guarda agli interessi generali di una società democratica.
Un fugace sguardo all’inizio della storia del diritto d’autore continentale può aiutare a comprendere il punto. I legislatori che approvarono, durante la Rivoluzione francese, la prima legge europea sul diritto d’autore erano infatti ben consapevoli della sua natura politica, cosmopolitica e pubblica prima che commerciale e privata. “Con la stampa” – sosteneva la relazione con la quale Sieyès presentava la sua proposta – “la libertà non è più confinata in repubbliche di piccole dimensioni, ma si espande per regni ed imperi. La stampa è, per l’estensione dello spazio, quello che era la voce dell’oratore nella piazza pubblica di Atene e di Roma”[1] Ma, a quanto pare, i legislatori europei e italiani, pur deliberando su spazi paragonabilmente ampi, non hanno occhi che per piccoli interessi.
A livello italiano, la controprova della focalizzazione sugli interessi degli intermediari commerciali è offerta dalla stasi di una delle poche iniziative legislative che puntava al rafforzamento del diritto dell’autore scientifico. Il riferimento è alla proposta di legge Gallo (DDL 1146 Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica). La proposta, la cui ultima discussione in Parlamento risale al novembre 2019, prevede l’introduzione dell’art. 42-bis nella legge sul diritto d’autore volto a riconoscere all’autore il diritto di ripubblicare la propria opera scientifica in accesso aperto.
c) Conclusioni
Alla luce del poco tempo messo a disposizione non è possibile formulare osservazioni di dettaglio sulle singole disposizioni normative dello schema di decreto legislativo.
L’AISA chiede espressamente alla Segreteria della 14a Commissione permanente di rendere pubblico questo documento sul sito web del Senato della Repubblica.
Cordialmente,
Prof. Roberto Caso
Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta
[1] Sieyès, Emmanuel Joseph (1790) Rapport de M. l’abbé Sieyès sur la liberté de la presse, et projet de loi contre les délits qui peuvent se commettre par la voie de l’impression, et par la publication des écrits et des gravures, http://www.copyrighthistory.org/cam/tools/request/showRecord?id=record_f_1790″
Roberto Caso, Prefazione al volume di Rudy Gorian, “Autori, bibliotecari, open access”, Trento, 2021
L’esperienza di lavoro e ricerca narrata da Rudj Gorian in questo volume si iscrive nelle azioni dell’Università di Trento dedicate allo sviluppo dell’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche. Il testo viene pubblicato in un momento storico caratterizzato da tre rilevanti fenomeni: (a) il passaggio dall’open access all’open science; (b) il confronto tra due logiche di attuazione dei principî di apertura: no profit e commerciale; (c) l’entrata in scena della pandemia da CoViD-19.
(a) Il passaggio dall’open access all’open science
L’open access è nato come movimento teso a rendere gratuitamente accessibili e riutilizzabili le pubblicazioni scientifiche su Internet. Il movimento costituisce l’ideale prosecuzione di quello che avvenne successivamente all’invenzione della stampa a caratteri mobili, quando i filosofi naturali scelsero di potenziare il loro dialogo affidandolo alle presse tipografiche. Si determinò così uno dei tratti ontologici della scienza moderna: la pubblicità.
L’idea di pubblicare online i risultati delle ricerche scientifiche si intreccia con la storia del software e della Rete. Il software a codice sorgente aperto (open source) e lo sviluppo pubblico e cooperativo dei protocolli di Internet rappresentarono il terreno di valori e principî nel quale si fece strada l’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche.
Oggi l’apertura non si limita più alle pubblicazioni scientifiche ma si estende all’intero processo di creazione, revisione, comunicazione e trasmissione dei risultati della ricerca. I dati della ricerca, la revisione paritaria, le risorse didattiche e il dialogo tra scienziati e cittadini transitano e si trasformano attraverso pratiche di apertura e trasparenza. Per questo si usa oggi parlare non solo di open access ma anche e soprattutto di open science.
(b) Il confronto tra due logiche di attuazione dei principî di apertura
A distanza di due decenni dalle grandi dichiarazioni che hanno offerto una prima formalizzazione ai principî dell’open access possiamo affermare che il sogno della realizzazione di un sistema aperto di comunicazione della scienza indipendente da potentati commerciali non si è realizzato.
I grandi editori commerciali oligopolisti, trasformatisi in piattaforme di analisi dei dati, dominano la scena e minacciano di colonizzare il mondo della scienza aperta.
Ciò deriva essenzialmente da due ragioni: il dilagare della valutazione quantitativa della scienza e l’estensione delle leggi sulla proprietà intellettuale e sul diritto d’autore. Gli scienziati appaiono sempre più interessati a scalare le pervasive classifiche valutative e sempre meno attenti a coltivare la propria libertà. Il che spiega perché ci siano folte schiere di autori scientifici e istituzioni accademiche disposte a pagare prezzi esorbitanti per pubblicare in open access, pur di potersi fregiare di un qualche (presunto) bollino di qualità editoriale. Eppure, esistono alternative sostenibili – a cominciare dagli archivi istituzionali oggetto della riflessione di Rudj Gorian – che mantengono il controllo del sistema di comunicazione nelle mani delle istituzioni scientifiche e accademiche non dedite al profitto.
D’altra parte, le leggi sulla proprietà intellettuale e sul diritto d’autore sono cucite addosso a interessi commerciali che nulla hanno a che fare con l’uso pubblico della ragione scientifica. Lo scopo dell’autore scientifico, infatti, non è quello di guadagnare dal commercio del proprio testo, ma di veder viaggiare le proprie idee nella mente dei lettori, in attesa che questi ultimi reagiscano attraverso altre pubblicazioni. Un circolo virtuoso teso a illuminare e rischiarare il pensiero di tutti, spingendo più in là i confini della conoscenza.
Paradossalmente, un tale scopo, proprio nel momento in cui l’uomo dispone della più potente tecnologia per far viaggiare le idee, viene sacrificato dalla legge sul diritto d’autore. Se l’autore scientifico cede i propri diritti economici all’editore, sarà quest’ultimo a determinare come e quando l’opera potrà circolare. Per tale motivo, occorrerebbe riformare profondamente le leggi sul diritto d’autore. Si potrebbe cominciare conferendo all’autore scientifico un diritto irrinunciabile e inalienabile di ripubblicazione. In Italia, ad esempio, mentre si discute dell’attuazione dell’ultima (pessima) direttiva dell’Unione Europea sul diritto d’autore (la 2019/790), giace dimenticata in un cassetto del Senato della Repubblica la cosiddetta proposta Gallo sull’accesso aperto (DDL n. 1146), che rappresenta un (pur timido) passo in avanti verso il riconoscimento di un diritto di ripubblicazione in open access.
(c) L’entrata in scena della pandemia da CoViD-19
La pandemia da CoViD-19 potrebbe essere meglio contrastata se la scienza fosse aperta. Non mancano esempi virtuosi che muovono in questa direzione.
Tuttavia, si può nutrire più di un dubbio sul fatto che siamo di fronte a un cambiamento profondo e duraturo, animato dai valori della condivisione, della cooperazione e della solidarietà. In altre parole, il diritto umano alla scienza aperta è ancora lungi dal trovare diffusa e concreta realizzazione. Gli interessi commerciali e di accentramento del potere decisionale di cui si è accennato sopra al punto (b) sono forti come non mai. Lo sono in particolare nel mondo delle università dove le logiche del profitto sono penetrate a fondo, tanto da cambiare la mentalità degli accademici.
Di fronte a un quadro di tale complessità, la narrazione delle vicende recenti di un archivio della ricerca di una università italiana dimostra che la speranza di affermare una scienza davvero libera e aperta si coltiva anche con l’importante lavoro di chi cura i metadati delle pubblicazioni scientifiche. Se gli archivi come l’IRIS dell’Università di Trento fossero visti come parte delle piattaforme editoriali accademiche, e non come strumenti burocratico-valutativi di controllo delle agenzie amministrative, potrebbero essere apprezzati dagli autori scientifici per il loro valore intrinseco.
Un tale cambio di visione, accompagnato magari da una semplificazione tecnologica, spingerebbe (forse) a praticare con più costanza la ripubblicazione in accesso aperto sugli archivi istituzionali. A questo proposito, colpisce la scarsa propensione degli afferenti all’Università di Trento a ripubblicare in accesso aperto sull’archivio IRIS anche quando si dispone del diritto d’autore per farlo. Gli ultimi dati a disposizione ci dicono che solo il 20% circa delle pubblicazioni registrate tra il 2015 e il 2019 sull’archivio della ricerca è accompagnato da testi in open access. Il dato potrebbe salire al 25% circa, una volta portato a termine il processo di validazione (cioè di controllo) dei metadati da parte dei bibliotecari.
Guardando oltre gli archivi istituzionali, non c’è dubbio che se le università italiane volessero davvero sviluppare la scienza aperta dovrebbero investire ingenti risorse. Si allude, nemmeno a dirlo, a risorse nelle infrastrutture, nell’assunzione di personale tecnico-amministrativo, nella formazione di studenti, docenti e ricercatori. Di più, dovrebbero tornare a concepire l’insegnamento e la ricerca non come pratiche finalizzate a scalare classifiche valutative, ma come missioni fondamentali per lo sviluppo del pensiero critico e il progresso della conoscenza.
Il successo della campagna vaccinale anti-Covid-19 dipende da alcuni fattori.
a) Efficacia e sicurezza del vaccino.
b) Capacità di produzione del siero e dei dispositivi che lo veicolano (le fiale). La capacità di produzione dipende anche dall’accesso alla tecnologia; accesso regolato, al momento, dalla proprietà intellettuale e in particolare dal brevetto per invenzione industriale.
c) Capacità di organizzare la somministrazione.
d) Disponibilità a vaccinarsi.
Vorrei svolgere alcune considerazioni sul fattore b) ovvero sul fattore “brevetto”.
Il brevetto è uno strumento giuridico pensato per la competizione. Chi arriva prima a brevettare vince dallo Stato un premio che consiste nel conferimento di un monopolio temporaneo, cioè di un diritto di sfruttare in esclusiva l’invenzione. La giustificazione dominante per l’esistenza delle leggi che riconoscono i brevetti è che senza il conferimento del monopolio legale le imprese non avrebbero sufficienti incentivi a investire in innovazione e tecnologia. Senza una protezione legale, gli investimenti privati verrebbero vanificati dalla libertà di riproduzione della tecnologia.
Con riferimento alla pandemia, il quesito di fondo è il seguente. Il brevetto è lo strumento giuridico migliore per garantire che tutta l’umanità riceva in tempi brevi un vaccino anti-coronavirus? C’è seriamente da dubitarne. Sul punto si possono leggere le parole che Papa Francesco ha pronunciato nel messaggio urbi et orbi dello scorso Natale: “non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità”. Oppure quelle del direttore generale dell’OMS che ha parlato di “catastrofe morale” in riferimento al fatto che i paesi poveri sono al momento fuori dalla campagna vaccinale.
Ma ammettiamo, per amore di discussione, che il brevetto sia indispensabile a muovere le forze del settore privato e che non ci siano alternative pubbliche. Sorge a questo punto un secondo quesito. L’attuale regolamentazione del brevetto sui vaccini anti-Covid-19 è la migliore possibile? Anche intorno a questa domanda di più ristretto respiro, i dubbi che si addensano su un’eventuale risposta positiva sono molti.
Dei vaccini attualmente operativi, 3 sono occidentali e coperti da brevetti. Rispetto a questi ultimi, la copertura brevettuale consente ad aziende private di dettare tempi e modi con cui condurre la campagna vaccinale. È ammissibile? Non credo. Ci sono alternative? Sì. Le prevede la normativa che incarna uno dei simboli della globalizzazione: gli accordi sul commercio internazionale con riferimento ai diritti di proprietà intellettuale, i Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS).
I TRIPS prevedono interventi più o meno incisivi sulla proprietà intellettuale. Il più incisivo è la sospensione della proprietà intellettuale e dei brevetti sui vaccini per la durata dell’emergenza. Il più blando è il ricorso alle licenze obbligatorie per ragioni di tutela della salute pubblica, cioè a licenze imposte dagli Stati ai titolari dei brevetti per far produrre i vaccini anche ad altri. Si badi che le licenze obbligatorie prevedono comunque la corresponsione di un compenso ai titolari del brevetto.
L’intervento più incisivo è stato chiesto da India e Sudafrica assieme a molti altri paesi, associazioni e attivisti, ma vede l’opposizione dell’Occidente. L’intervento più blando è stato chiesto a gran voce da molti, anche in Italia.
Il superamento delle barriere elevate dalla proprietà intellettuale è auspicato anche dalla Risoluzione 2361 (2021) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.
Tra i primi ad avanzare in Italia la richiesta di intervenire sulla proprietà intellettuale figurano Nicoletta Dentico e Silvio Garattini nonché Vittorio Agnoletto. Di qualche giorno fa è la lettera di alcuni europarlamentari europei (tra i quali vi sono italiane e italiani) in cui si chiede all’UE la sospensione dei brevetti sui vaccini anti-Covid-19.
Il solo intervento sulla proprietà intellettuale non è la soluzione a tutti i problemi che frenano il decollo della campagna vaccinale. Tuttavia, potrebbe rappresentare un importante messaggio politico. A decidere delle vite di milioni di persone non sarebbe più solo il profitto.
To tackle the Covid-19 pandemic, we need Open Science more than ever. Humanity can only hope to quickly overcome the crisis it is facing by sharing worldwide the knowledge and technologies needed to produce vaccines, drugs and medical devices.
Many voices have been raised against the unfair grabbing of vaccines and drugs by rich countries to the detriment of the poor ones. Others have pointed out that pharmaceutical companies are able to dictate the time and mode of vaccination campaigns even in the wealthy West where they have their headquarters. Their power is even more surprising if we take into account that they enjoy direct funding from governments and benefit from the results of basic research supported by public money.
The TRIPS agreement (Trade Related Intellectual Property Rights, art. 31 bis) entitles states, in emergency situations, to enforce compulsory licenses on private patent holders so that other companies can produce generic versions of the patented drugs and vaccines, not without paying them a royalty. We need, at least, two urgent legislative actions:
in Italy, a regulatory provision on compulsory licensing in the field of public health protection should be included in the legislative decree, February 10, 2005 n. 30 (industrial property code);
in the European Union, legislation should be introduced to require the disclosure and transparency of contracts signed by the European Union and its Member States for the supply of vaccines.
AISA urges the lawmakers to fill these critical gaps, which are all the more inexplicable as they concern measures compatible with and contemplated by the current international system of intellectual property.
L. 19 aprile 1925, n. 475, repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche
G. Resta, in G. Alpa e G. Resta, Le persone e la famiglia 1. Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Utet, Torino, 2019, pp. 486-508
G. Finocchiaro, Anonimato, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010
L. 19 aprile 1925, n. 475, repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche